
di Loretta Cavazzini
Lo studio della vita affettiva di una persona e, in conseguenza, dei suoi eventuali disturbi, richiede un approfondimento settoriale che non prescinde, però, da una conoscenza globale della sua personalità. La vita affettiva, infatti, non esiste in forma indipendente o isolata, ma esercita il suo influsso su tutti gli altri ambiti della personalità, i quali, conseguentemente, influenzano lo sviluppo, l’integrazione e le molteplici manifestazioni della vita affettiva.
Volendone studiare i disturbi, è perciò, necessario, tenere presente una visione globale dell’uomo e dell’interazione tra le varie forze psichiche che lo compongono.
Tale analisi è realmente molto complessa, ancor di più se aggiungiamo, nel nostro caso, la fluidità della situazione psichica dell’allievo, ad esempio, della scuola elementare, che attraversa fasi particolarmente ricche, feconde e poco stabili del suo sviluppo.
Queste rapide considerazioni introduttive sono sufficienti per giustificare la parzialità e incompletezza di un articolo come questo che tenta di dire qualcosa sui disturbi della vita affettiva dello scolaro.
Il dover parlare dei disturbi più frequenti, pur non dispensandoci da alcune considerazioni generali, limita il campo da analizzare e ci autorizza a prescindere da tutto il settore strettamente patologico.
E’, però, importante segnalare subito che, parlando dei disturbi della vita affettiva dello scolaro, non possiamo riferirci solo a quelli prevalentemente legati all’ambito scolastico.
L’interazione di fattori e di settori della personalità è tale da non permettere questa distinzione. Il parlare di scolaro ci aiuta a delimitare il periodo cronologico della nostra indagine e solo in forma molto ridotta a dare particolare accentuazione a disturbi affettivi strettamente connessi con la vita scolastica. La psicologia dello scolaro non esaurisce la psicologia dai 6 agli 11 anni, anche se non si può dimenticare che si tratterà di un ragazzo che va a scuola e che la scuola occupa una buona parte della sua giornata.
Il primo contatto con la scuola è stato sempre di particolare importanza nello sviluppo psichico del bambino: esso segnala ufficialmente lo spalancarsi dei cancelli familiari per entrare in quotidiano contatto con adulti e coetanei di altri ambienti. Le ripercussioni sul bambino possono essere molte e di vario significato. Non vogliamo togliere peso a questo momento dello sviluppo, ma il suo influsso è oggi certamente molto attutito, grazie ai più frequenti contatti extra familiari che avvengono e grazie alla forte percentuale di bambini che, frequentando scuole materne, entrano prima in un tipo di società più scolastica che familiare.
Aspetti generali del problema
Supposte le note caratteristiche dell’affettività in questo periodo e il grado di maturazione raggiunto, centreremo ora l’attenzione sulla problematica riguardante i disturbi.
Non possiamo dimenticare che quando il bambino varca la soglia della scuola, a 6 anni, ha già trascorso un periodo fondamentale della sua vita, che ha contribuito in modo decisivo a plasmare le caratteristiche della sua personalità. Il gioco tra forze ereditarie e forze ambientali, durante i primi anni di vita, ha un peso sulla strutturazione della personalità che oggi nessuno mette in dubbio. Questo periodo di vita vissuta può aver posto le basi per lo sviluppo di eventuali disturbi. Di essi, alcuni saranno già apparsi attraverso manifestazioni comportamentali denunciatrici; altri, con l’allargarsi del campo di azione del bambino, potranno apparire nei primi mesi di vita scolastica o manifestarsi più palesemente nel nuovo tipo di rapporto che lo scolaro deve sostenere con l’insegnante, con i compagni e con la disciplina e le esigenze varie della vita scolastica.
E’ importante, perciò, che l’insegnante, notando dei disturbi in uno scolaro, sappia porre la sua attenzione, ed eventualmente attirare quella dei genitori, verso gli avvenimenti della prima infanzia. Trattandosi poi di disturbi che possiamo chiamare “minori”, l’ambiente dei primi anni avrà avuto certamente un peso superiore all’azione di fattori ereditari. Sono state svolte diverse ricerche delle quali i risultati ottenuti hanno portato ad includere tra le “anormalità” del carattere “quelle anormalità del comportamento su base motoria, emotiva, attitudinale o espressiva che, non rientrando nelle categorie precedenti né in quelle di forme secondarie a malattie neurologiche o organiche di altri apparati, esprimevano una sofferenza nell’adattamento alle relazioni tra l’Io e il mondo esterno”.
In varie ricerche si è osservato che le anormalità del carattere, primarie, sono il risultato di una serie di pressioni o modificazioni ambientali – non specifiche – che, superando i limiti di plasticità e di adattamento di alcuni genotipi, determinano le reazioni anomale.
L’ambiente continuerà la sua azione sul bambino anche negli anni di vita scolastica, ma l’influsso che esso eserciterà avrà sempre minor peso e tenderà a provocare disturbi di tipo reattivo, facilmente controllabili e superabili da una struttura psichica fondamentalmente normale.
Come è stato dimostrato da vari studiosi, i ragazzi che hanno un passato più carico di difficoltà oggettive sono quelli che ne sentono di più il peso. Si evince che ciò che più pesa sulla sensazione di essere in difficoltà è la somma di difficoltà oggettive di cui rende testimonianza la storia del soggetto precedente al ricovero, al contrario, la sensazione di essere in difficoltà non sembra direttamente influenzata dall’adattamento scolastico attuale.
Sorge così un altro importante aspetto dei disturbi affettivi che esigerà una chiarificazione da parte di specialisti competenti: tali disturbi sono l’espressione di una personalità che si sviluppa in modo autonomo e che solo gradualmente si manifesta all’esterno o essi sono semplicemente il risultato di un periodo critico che si risolverà facilmente con la conquista di un nuovo grado di maturazione?
Non basta, per definire questo punto, prendere in considerazione il sintomo più appariscente o le manifestazioni comportamentali più dubbie: questi elementi debbono essere visti in un quadro totale della personalità, che permetta di stabilire il significato e la profondità della sintomatologia.
Per studiare più in dettaglio i disturbi della vita affettiva, possiamo prendere il via da una frase di L. Michaux e D.-J. Duché : “il carattere è l’espressione più tipica dell’affettività”, intendendo per carattere “un insieme complesso creato dagli istinti, i sentimenti, le passioni, gli impulsi e le inibizioni, siano o no esteriorizzati nei propositi, negli atti, e più generalmente negli atteggiamenti positivi o negativi, che presenta un certo grado di stabilità, tale però da non renderlo né innato né irriducibile.”
Partendo da questa impostazione si può affermare che le anomalie del carattere nel ragazzo sono l’espressione più tipica di una affettività disturbata, intendendole in senso globalistico, conformandoci all’uso più comune nella letteratura e includendo tra di esse ”ogni e qualsiasi disturbo del rendimento mentale o dell’integrazione ambientale, non originariamente dipendente dal livello intellettivo, e al di fuori (ma non del tutto) dei disturbi della personalità di grado psicotico”.
La complessità di questi disturbi appare anche nei numerosi tentativi di classificazione, senza che nessuno di essi abbia pienamente soddisfatto gli studiosi.