
di Valentina Ferrara
Il concetto di suicidio potrebbe sembrare totalmente incompatibile con quello che conosciamo dell’età evolutiva, sarebbe troppo difficile e doloroso ammettere che un bambino possa arrivare a farsi del male o in ogni caso a provare un dolore e un malessere talmente grandi da alimentare il desiderio di morire.
Orbach (1988) afferma “Per molti motivi, per lo più incomprensibili, gli adulti preferiscono credere che i bambini non si suicidino…Una delle difficoltà ad accettare il suicidio infantile nasce dal fatto che le azioni in questa direzione vengono facilmente interpretate come incidenti…”.
L’idea di morte come quello che hanno gli adulti si costruisce gradualmente e lentamente nei corso dello sviluppo e la comprensione delle tappe evolutive che lo riguardano conduce verso una più accurata comprensione del suicidio infantile e di che significato possa assumere nei bambini delle varie età.
Il bambino tra il primo e il terzo anno di vita non ha alcuna comprensione della morte o ne ha una piuttosto limitata ma senza dubbio non connessa ad alcun tipo di reazione emozionale.
Verso i cinque anni avviene la prima comprensione degli aspetti fisici della morte come l’immobilità e l’irreversibilità, concetto molto importante per l’interpretazione di suicidio in questa fascia di età.
Verso i sei anni il bambino inizia a nutrire una forte paura per la morte, intesa come paura della perdita e dell’abbandono, paura degli impulsi aggressivi diretti verso i genitori e paura di essere vulnerabili; tuttavia il bambino a questa età pensa che la morte riguardi solo gli altri e che lui non morirà mai, a causa del pensiero magico ed egocentrico.
Solo verso i sette anni il bambino arriva ad una conoscenza della morte più realistica.
Ad otto anni diventa consapevole dell’inevitabilità della morte anche per lui ed inizia a mostrare interesse per la vita dopo la morte mentre la paura si attenua. Pian piano l’interesse per l’aldilà e per la vita dopo la morte si fa più intenso e in adolescenza gli interessi si focalizzano su questo aspetto cercando di comprenderne la reale esistenza.
Il bambino suicidario ha una visione della morte distorta e tale distorsione rappresenta un meccanismo difensivo. La differenza con gli altri bambini non è nella conoscenza dell’aspetto della morte quanto nel loro giudizio sul suo valore strumentale; i suicidi sembrano considerare la morte semplicemente come un’alternativa possibile al qui ed ora e questa concezione origina da deformazioni difensive che leniscono le angosce per l’ ineffabile e alimentano la speranza di un aldilà positivo. Questa deformazione viene alimentata dal bisogno di sottrarsi ad una situazione di sofferenza talmente intollerabile da annullare il naturale sentimento di terrore associato alla morte. Anche negli adolescenti suicidi sembra che la paura della morte sia assente poiché essa svolgerebbe una funzione inibitoria nei confronti del suicidio.
Per approfondire:
Orbach I., (1988), Bambini che non vogliono vivere: come capire e prevenire le situazioni estreme, (trad. it. di Laura De Rosa), Giunti, Firenze, 1991.